Psicoanalisi e Coppia

La comprensione della portata del proprio investimento sul partner può sempre essere un personale arricchimento, ma è naturale che questo interesse si accenda per lo più quando l'investimento è compromesso dalla crisi.

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Si è molto discusso, soprattutto in Francia, sulla denominazione di un intervento psicoanalitico che si prefigga la coppia come centro d'interesse: intervento di coppia, sulla coppia, in coppia o della coppia.

Ognuna di queste espressioni veicola un aspetto e anche un aspetto importante: mentre intervento sulla coppia, per il suo implicito richiamo a un'impropria oggettivazione della coppia, viene poco impiegato, si contendono il campo intervento di coppia, intervento in coppia e intervento della coppia.

Scrive Dupré La Tour (2005) a proposito dell'intervento in coppia:

Non si tratta più solamente di aiutare le coppie in difficoltà, ma di servirsi della situazione di coppia per guarire e far evolvere le persone nel loro Io più profondo.

E aggiunge:

E' questo che ha fatto dire a dei terapeuti argentini, anche se utilizzano il termine «Psicoanalisi di coppia», che la coppia e la terapia di coppia sono delle «nuove matrici di soggettivazione».

L'espressione intervento di coppia è precedente e può essere fatta risalire a Jean G. Lemaire (1971). Nella scelta di privilegiare intervento di coppia invece che intervento della coppia, come sottolinea sempre la Dupré La Tour, si può cogliere "la laboriosa definizione dell'intervento di coppia".

Una scelta che condensa due aspetti: "Un primo aspetto riguarda la distinzione, con le conseguenti ricadute sulle scelte metodologiche e formative, tra relazione d'aiuto e terapia, tra aiuto e cura".

Un secondo aspetto potrebbe formularsi in questi termini: quando si prende in carico una coppia, chi si cura? La coppia o gli individui? Su questo J. G. Lemaire è molto chiaro.

Una scelta che ritorna a più riprese nei suoi scritti, e questo potrebbe far pensare che non è così per coloro che lo leggono e l'interrogano e neppure per coloro che chiedono aiuto: «Nella terapia di coppia, non si tratta di curare la coppia, ma di servirsi della coppia per aiutare gli individui (É). La coppia non è un obiettivo terapeutico, ma un mezzo"» (1991)

in M. Minolli, R. Coin (2007) Amarsi, amando. Per una psicoanalisi della relazione di coppia. Edizioni Borla, Roma


L'intervento di coppia

La comprensione della portata del proprio investimento sul partner può sempre essere un personale arricchimento, ma è naturale che questo interesse si accenda per lo più quando l'investimento è compromesso dalla crisi.

Tanto è forte la curiosità, soprattutto tra i più giovani, di sapere a quale tipo di coppia si appartiene o quali destini essa potrà avere (curiosità che alimenta il business di astrologi, cartomanti, rotocalchi e tv), tanto poi impera un'accettazione rassegnata e passiva della coppia che porta a rifuggire la possibilità di capire e affrontare le inevitabili piccole o grandi crisi.

Solo in situazioni dolorose, quando cioè la crisi ha già rotto lo status quo, viene a imporsi una qualche attenzione su quanto sta succedendo. Non è detto però, neppure nelle situazioni più gravi, che questa accresciuta sensibilità coincida con la disponibilità ad avviare un processo d'intervento di coppia.

E' più facile che la rigidità delle posizioni si esasperi e trovi come unico esito la separazione e la rottura della coppia. Come già detto, la crisi è un'occasione di crescita se la coppia attiva la sua risorsa più preziosa: la disponibilità a lasciarsi cambiare dal processo della vita, a modificare gli schemi e i ruoli acquisiti, ad aprirsi alla ricerca di nuove soluzioni.

Non è sempre necessario ricorrere a un aiuto professionale per superare la crisi; molte coppie hanno già in sé le potenzialità per capire e riattivare da sole il proprio processo. Di fatto, la coppia si rivolge allo specialista quando le soluzioni storiche appaiono indispensabili per la sopravvivenza, e quindi intoccabili, e quando contemporaneamente non pare possibile pensarsi senza il proprio essere coppia.

L'impossibilità di pensarsi senza coppia può essere razionalizzata come problema per i figli o con altre motivazioni esterne che spingono a chiedere aiuto. Spesso queste domande proiettive giungono da coppie di fatto già separate o decise a farlo, ma il fatto di formulare la richiesta in due testimonia la presenza di "qualcosa" che ancora tiene insieme la coppia e di cui è possibile prendersi cura.

Lavorare all'interno di questa ipotesi non significa forzare la coppia a stare insieme, ma accogliere e aiutare i partner a riconoscere il residuo, o la parte per loro ammissibile, dell'investimento che ancora li coinvolge. Nonostante una maggiore sensibilizzazione culturale verso gli strumenti della psicologia e l'ampliamento delle proposte di intervento, la terapia di coppia ci pare ancora lontana dall'essere concepita dall'opinione pubblica come una risorsa valida e interessante.

E' più facile che le difficoltà di coppia vengano lette, e spesso anche accolte dalle strutture e dai professionisti, come problematiche o del singolo o della famiglia plurigenerazionale. Anche nella formazione alla psicoterapia spesso l'intervento di coppia è agglomerato a quello individuale, come ne fosse una naturale derivazione, o a quello del sistema familiare, mentre il duale di coppia si presenta come una realtà a sé, governata da strutture e leggi di funzionamento che richiedono uno studio mirato.

Ogni volta che la psicoanalisi si è affacciata a oggetti di intervento nuovi (bambini, adolescenti, psicosi, gruppo) si è sollevata, da ogni parte, la questione se fosse lecito parlare ancora di psicoanalisi. Frieda Fromm-Reichman (1950), come noto, ha proposto di fare una distinzione tra psicoanalisi, nella sua forma tradizionale, e psicoterapia psicoanalitica, come riadattamento del metodo classico, contraddistinto dal setting analitico individuale, ad altri campi applicativi.

In una prospettiva più attuale, appare utile focalizzare lo specifico psicoanalitico non sul versante della tecnica, che ha subito notevoli variazioni e adattamenti e che, come già ricordava A. Freud, è l'aspetto più creativo, ma sul versante della teoria e del metodo che fondano la sua pratica.

Qualsiasi "intervento" deve essere informato da una visione teorico-epistemica sufficientemente articolata da permettere lo studio, la previsione e la verifica dei fenomeni su cui si interviene.

Si tratta di un principio fondante della conoscenza scientifica e delle sue applicazioni ed è evidente che le condizioni per la garanzia non possono essere riposte o verificate attraverso il controllo della tecnica.

La tecnica, quale aspetto emergente e contingente, come insieme di regole e strumenti per l'esercizio di una prassi, è solo il precipitato di una teoria e di un metodo e, in quanto tale, non è l'anima, ma il braccio operativo del nostro sapere. Il problema della competenza professionale dunque non si inquadra in primis in termini di tecnica, ma nei termini dei presupposti teorici-metodologici che stanno a monte.

La teoria e il metodo sono lo strumento principale per porsi in modo creativo di fronte alla realtà che osserviamo; realtà che contribuiamo a influenzare mentre la osserviamo e la cui spiegazione teorica è inevitabilmente frutto di una lettura relativa e suscettibile di modifiche. Ma esiste un possibile equilibrio tra l'assolutizzazione delle nostre teorie come verità indiscutibili e la relativizzazione della conoscenza come affermazione radicale della sua irrilevanza.

L'arroganza conoscitiva o l'adesione passiva alla tecnica rischiano di irrigidirci dentro prassi che spesso perdono la loro presa con la realtà e paralizzano la creatività. L'antidoto indispensabile è avere delle chiavi di lettura esplicite che mettano in condizione di restare aperti alla ricerca e al confronto. Non è superfluo insistere su questa premessa perché, per quanto elementare, spesso viene soppiantata da una dilagante tendenza pragmatista.

La frenesia del fare e l'accelerazione dei tempi sociali si traducono troppo spesso nella ricerca di soluzioni rapide e di prontuari che mettano in grado di esercitare e rendere rapidamente remunerative le proprie conoscenze. Il rischio è ancor maggiore quando è in gioco l'applicazione a un campo nuovo e specifico quale è l'intervento psicoanalitico di coppia.

Può essere forte, e per certi versi anche giustificata (per esempio, dalla crescente domanda sociale di aiuto alle coppie; dall'esperienza clinica maturata in altri contesti psicoanalitici; dall'interesse professionale a scoprire nuovi ambiti di ricerca) la tentazione di estendere l'uso degli strumenti propri di un setting individuale o di gruppo anche al setting di coppia.

Ma il problema è che la coppia non è la semplice somma di due individui e non è un insieme di individui che fanno un gruppo.

Senza strumenti idonei a leggere il funzionamento del duale di coppia e a intervenire nella sua processualità, rischiamo di essere come l'elefante nel negozio di porcellane. E rischiamo anche di farci male. L'utilizzo dei nostri strumenti analitici non pone solo un problema etico di competenza e di responsabilità professionale, ma anche un problema etico personale, verso se stessi e i vissuti dell'analista.

A improvvisarsi terapeuti di coppia si rischia di "scottarsi", perché gestire un setting di coppia comporta l'entrare in un universo di vicissitudini e dinamiche che possono trovare del tutto disarmato l'analista che abbia in mano soltanto i dispositivi del metodo individuale e/o di gruppo.

Molti autori sottolineano le difficoltà cui va incontro il terapeuta di coppia nella clinica: con sfumature che variano a seconda del taglio teorico, tutti segnalano i disagi legati alla posizione di "terzo", al riemergere di suggestioni infantili del rapporto coi propri genitori, ai dilemmi su come intervenire nei conflitti, su come dirimere liti, su come gestire le esplosioni emotive tra i partner (per esempio, non è facile chiedere associazioni libere a una coppia che sta litigando per un tradimento).

Così, non sorprende che la prospettiva di lavorare con la coppia, susciti in genere nei terapeuti individuali delle reazioni estreme o grandi avversioni o grandi passioni.

Inoltre, l'approccio analitico individuale classico non porta a tener conto e a trattare l'incidenza che la significatività delle variabili socio-culturali ha nel rapporto di coppia. La loro entrata nel discorso individuale viene facilmente letta come una "fuga" dalla presa di coscienza dei propri processi psichici.

Nel lavoro analitico di gruppo in genere non emergono perché il gruppo terapeutico è costituito su rapporti artificiali e non su rapporti reali come quelli di coppia che portano invece alla ribalta le problematiche connesse alla distribuzione dei ruoli, al rapporto tra i sessi, alla condizione sociale della donna, alle scelte concrete di vita, alla gestione dei figli.

Nel discorso analitico di coppia appare più che mai evidente che queste dimensioni fanno parte della trama dei significati relazionali reali e divengono veicolo e strumento principe dell'intesa e della crisi. Esiste, per l'analista, il rischio di restare catturato dal piano dei fatti e così perdersi in dilemmi insolubili, alla ricerca di chi ha ragione o chi ha torto e di quale dovrebbe essere l'equilibrio ottimale tra i due partner.

Entrare in questa logica è come venire risucchiati da un gorgo, la cui unica via di uscita è aggrapparsi ai puntelli forniti da criteri di riferimento aprioristici, dai modelli, dagli ideali e dai valori personali. E' un'insidia ben nota anche nel lavoro individuale, ma è assai più difficile resistervi in un setting di coppia, proprio perché le tematiche concrete diventano qui gli elementi centrali del discorso analitico.

Se per esempio il terapeuta ha una visione di coppia personale in cui la condivisione dei compiti e delle incombenze familiari tra uomo e donna è un requisito fondamentale e se questo diventa per il terapeuta un criterio diagnostico della validità del rapporto, come si porrà di fronte a una coppia "vecchia maniera", impostata su una distribuzione tradizionalista dei ruoli?

E' assai probabile che la visione di coppia del terapeuta condizionerà l'impressione che egli si farà di quella coppia e, secondo il fenomeno della profezia che si auto-avvera, percepirà nella donna che gli appare sottomessa al marito una condizione di ingiustizia.

E' assai probabile, allora, che dentro di sé, l'analista prenderà le parti della moglie e metterà in discussione la condotta del marito, ma in questo modo si precluderà la strada per approfondire se e quanto questa impostazione sia veramente la causa del malessere della coppia o se, piuttosto, in base alla funzionalità reciproca, non rappresenti una soluzione ottimale per entrambi, al cui mantenimento entrambi hanno bisogno di contribuire attivamente.

Mettere in discussione l'equilibrio tra i partner non ha altro esito che quello di rinforzarlo: possiamo immaginare, proseguendo nel nostro esempio, che la donna sarà sensibile, anche solo inconsciamente, alle "ragioni" che l'analista le riconosce e sarà sedotta a seguirle, mentre l'uomo si sentirà aggredito e condannato dall'autorità del terapeuta, rivalendosi sulla moglie in altri modi.

Entrambi i partner reagiranno difensivamente con un'esacerbazione delle rispettive posizioni, in virtù della logica della funzionalità che, non essendo stata oggetto di lavoro col terapeuta, non permetterà nessuna modificazione effettiva dell'assetto di coppia. Fare un intervento di coppia significa occuparsi della coppia. Ciò non è né scontato, né automatico, perché assai spesso la coppia si presenta come il nodo di una rete più estesa di relazioni inter e transgenerazionali.

Il binomio coppia-famiglia, e quindi l'identificazione della coppia con la coppia genitoriale, è assai diffuso tra gli addetti ai lavori come tra gli stessi partner, che spesso arrivano a pensare a se stessi in quanto coppia solo in funzione della loro genitorialità.

Il rapporto tra generazioni, le influenze delle famiglie di origine, le vicende coi figli, i fatti della vita hanno un'incidenza indubbia sulla coppia ed è naturale che su queste poggino le motivazioni manifeste all'intervento di coppia, ma un intervento di coppia non è né un intervento individuale fatto a due, né un intervento familiare. Se la coppia chiede aiuto per un problema di coppia, parlare di sé come genitori diventa un alibi, diventa l'espressione di uno spostamento, dove i figli rappresentano il luogo dove si proiettano i problemi che all'origine sono della coppia.

Certamente esistono coppie di genitori in difficoltà nel rapporto coi figli, ma allora il problema si articola su un altro asse, che non è quello di coppia. Genitori di figli problematici o di figli che attraversano un'adolescenza difficile spesso trasformano la difficoltà in un problema tra loro, ma tante volte la crisi tra i genitori diventa uno spostamento e una difesa dall'affrontare la relazione coi figli, non una crisi di coppia.

E' altrettanto evidente che un lavoro sulla coppia, mirato alla realtà di coppia, potrà recare beneficio anche al loro rapporto coi figli, poiché i figli colgono non solo le configurazioni profonde della madre e del padre, ma soprattutto del tipo di legame che unisce i genitori in quanto coppia. Se la coppia chiede aiuto per un problema di coppia, parlare della presenza oppressiva dei genitori dell'uno o dell'altro o del bisogno di essere aiutati a elaborare le difficoltà del coniuge che ha perso il lavoro o il conflitto su un progetto non condiviso che però riguarda entrambi può essere fuorviante.

Nella vita esistono problemi che hanno ricadute pesanti sulla storia di ogni coppia. Situazioni dolorose e sconvolgenti possono mettere a dura prova la solidità della coppia; il fatto che si esprima una richiesta d'aiuto può essere il preludio di una crescita oppure un alibi.

Per queste ragioni, occorre dare massimo rilievo all'analisi della domanda, riservando a quest'ultima più incontri utili al terapeuta ma anche alla coppia che così può sensibilizzarsi a un metodo di intervento.

Qualsiasi siano le motivazioni manifeste che spingono alla richiesta di aiuto, nessuna in partenza è di per sé prova e garanzia dell'accettazione di un lavoro analitico di coppia. Le condizioni preliminari necessarie a realizzare un intervento di coppia poggiano sul riconoscimento, da parte della coppia e da parte dell'analista, di un bisogno che ha radice nella relazione di coppia e che sia sentito da entrambi i partner come motivazione a un intervento su di sé in quanto coppia.

Da qui discende l'opportunità di prevedere diverse opzioni di lavoro, da una singola consultazione a un ciclo di incontri mirati e a breve termine, a una vera e propria analisi di coppia. Molte sono le strade e molto il tempo necessario perché la coppia acceda alla possibilità di occuparsi effettivamente di sé in quanto coppia. Per questo, l'analisi della domanda costituisce una tappa importante, dove è possibile agire in modo da orientare le forze in gioco verso la possibilità di riconoscere un bisogno e arrivare alla formulazione esplicita di una richiesta sulla coppia.

E' frequente che le coppie giungano alla consultazione avendo già delineato una loro soluzione, che è ovviamente il frutto della loro lettura di sé e del loro problema. Molto spesso questa soluzione è avallata da parenti, amici, ma anche da avvocati quando accolgono l'istanza di separazione e inviano i partner a uno psicologo che li aiuti a sostenerne il percorso. Sono svariati anche i canali di invio della coppia, che può giungere su consiglio di un avvocato, di un terapeuta individuale, di amici, di familiari.

Qualsiasi sia la modalità di arrivo, è fondamentale che la coppia abbia già effettuato un percorso di assunzione, e che i partner siano alleati, a qualche livello, nella domanda di intervento; in assenza di questo requisito, come già detto, l'analista dovrà riservare tutto il tempo utile per fare emergere nei partner la disponibilità a farsi carico di sé coppia in quanto oggetto di interrogazione, ricerca e comprensione.

Questa alleanza non predetermina in alcun modo i possibili destini della coppia, non agisce cioè in direzione di un qualche possibile, auspicabile esito dell'intervento, ma favorisce semplicemente un'assunzione di sé da parte dei due che si interrogano su che fare.

Potremmo quindi sintetizzare dicendo che

Non è possibile un intervento di coppia se la coppia non è presente con l'obiettivo di un intervento sul proprio essere coppia.

Laura Cappilli



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